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10/11/2025 ore 09.04
Società

Morto a Sant’Onofrio uno degli ultimi internati militari italiani: nei lager perché a 20 anni Raffale Viterbo aveva detto No al nazifascismo

Si è spento all’età di 103 anni un testimone diretto di una delle pagine più dolorose della nostra storia. Insieme ad altri 650mila soldati dopo l’armistizio si era rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò e per questo era stato deportato nei campi di lavoro tedeschi

di Redazione

Si è spento all’età di 103 anni Raffaele Viterbo, uno degli ultimi Internati Militari Italiani (Imi), testimone diretto di una delle pagine più dolorose e meno raccontate della Seconda guerra mondiale. I funerali si sono svolti ieri, domenica 9 novembre, a Sant’Onofrio, dove è vissuto dal ritorno dalla prigionia e dove per decenni era divenuto un punto di riferimento silenzioso e rispettato.

Raffaele Viterbo aveva appena vent’anni quando, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, rifiutò di aderire alla Repubblica di Salò e di continuare la guerra al fianco dei tedeschi. Come oltre 650mila soldati italiani, pagò quel rifiuto con la deportazione nei territori del Terzo Reich, dove Hitler definì quei militari “traditori” e li privò di ogni diritto, classificandoli come Internati Militari Italiani per escluderli anche dalla protezione della Croce Rossa.

Un toccante ricordo è stato pubblicato dal gruppo Facebook “Melissandra Sant’Onofrio”, dove è stata ripercorsa la sua storia.

Deportato in diversi campi di lavoro tra Polonia, Bielorussia e Russia, Viterbo conobbe la fame, il freddo e la disumanità dei lager. Raccontava raramente di quei giorni: di come, con addosso solo vestiti logori e zoccoli di legno, sopravvisse agli inverni mangiando bucce di patate e un rancio poverissimo. Dopo la liberazione, riuscì a tornare in Italia proprio in un novembre di ottant’anni fa, segnato dalle cicatrici della guerra ma anche dalla dignità di chi non aveva mai ceduto.

A Sant’Onofrio trovò la pace e l’amore: sposò Maddalena e costruì qui la sua nuova vita. Per decenni, Viterbo scelse il silenzio, custodendo dentro di sé i ricordi della prigionia. Solo negli ultimi anni aveva cominciato a condividere qualche frammento di quella storia con chi voleva ascoltare, in particolare con l’Associazione culturale Melissandra, che da venticinque anni si impegna a preservare la memoria storica del paese.

Recentemente – sempre secondo il gruppo Facebook di Sant’Onofrio - il Presidente della Repubblica gli aveva conferito la Medaglia al Valore, riconoscendo il coraggio e la dignità di una scelta che, ottant’anni prima, aveva rappresentato un atto di resistenza morale contro il nazifascismo.

«Era uno degli ultimi testimoni di una storia che molti di noi hanno solo letto nei libri – ha ricordato un rappresentante dell’Associazione Melissandra – ma che lui ha vissuto sulla propria pelle. Oggi Sant’Onofrio perde un pezzo della sua memoria collettiva».