Vibo, l’appello ignorato di una malata oncologica: «Mi hanno scritto da tutta Italia, da Occhiuto neppure una parola»
Katia Coloca si era rivolta al governatore con un video social denunciando l’impossibilità di effettuare un intervento urgente. Ha ricevuto centinaia di offerte di aiuto e messaggi di solidarietà ma non dalle istituzioni sanitarie regionali e provinciali. Ecco come è andata a finire
Dopo i primi due appelli social rimasti senza risposta, la vibonese Katia Coloca torna a raccontare la sua odissea sanitaria. E lo fa con un altro post carico di emozione, rabbia e gratitudine, in cui ripercorre quanto accaduto nelle ultime settimane, puntando il dito contro i vertici della sanità calabrese e dell’Asp di Vibo Valentia.
La vicenda
La donna, malata oncologica, era già balzata all’attenzione pubblica il 19 novembre scorso, quando aveva lanciato un appello disperato al presidente della Regione Calabria e commissario ad acta della sanità, Roberto Occhiuto. Un post sui social, condiviso migliaia di volte, in cui poneva una domanda tanto semplice quanto devastante: «Perché noi vibonesi non possiamo curarci a casa nostra?». A quelle parole non era arrivato alcun riscontro, così, il 9 dicembre scorso, ci ha riprovato, questa volta con un video in cui raccontava di uno stent al rene da rimuovere con urgenza, delle liste d’attesa interminabili, dell’assenza di un reparto di Urologia realmente operativo a Vibo Valentia, di ore e ore trascorse in Pronto soccorso senza la certezza di un ricovero. «Ti sembra normale tutto questo?», chiedeva allora al presidente Occhiuto. Ma anche in questa occasione ha ricevuto soltanto silenzio.
Il nuovo messaggio social
Ora, a distanza di 10 giorni, Katia torna a parlare. E lo fa con un nuovo post pubblico, chiedendo ancora una volta di condividere «perché è giusto che tutti abbiano il diritto di sapere com’è andata». Il bilancio dell’ultimo mese è durissimo. «Riguardo l’appello disperato al presidente Roberto Occhiuto – scrive – non ho ricevuto nemmeno un piccolo gesto da parte sua». Parole che diventano ancora più amare quando il discorso si allarga al territorio: «La cosa gravissima è che nemmeno le istituzioni di Vibo Valentia si sono degnate di perdere un minuto con me come cittadina, e non dico per mobilitarsi e aiutarmi a poter fare l’intervento, ma nemmeno con una parola di solidarietà».
«La salute non è questione di destra o sinistra»
Un silenzio che, per Katia, pesa come un macigno e che viene messo a confronto con un ricordo preciso: «Quando nel 2022 rischiavo la vita - sottolinea - l’ex sindaco Maria Limardo, senza sapere chi fossi, si è subito messa a disposizione». Un passaggio che la donna utilizza per sottolineare che «quando si tratta di salute non esiste né destra né sinistra» e per ribadire che la sua vicenda non è un caso isolato: «Le mie difficoltà hanno rappresentato tutti voi che state passando l’inferno per potervi curare o fare dei controlli con dignità e soprattutto con i diritti che nessuno dovrebbe toglierci».
Centinaia di messaggi da tutta Italia
Poi il racconto cambia tono. Dopo la denuncia, arriva quella che lei stessa definisce «la parte bella». Katia racconta di aver ricevuto chiamate e messaggi da medici di tutta Italia, «da Milano, Padova, Roma», molti dei quali calabresi costretti a lavorare lontano dalla loro terra per poter esercitare la professione in condizioni dignitose. «Li ringrazio tutti dal profondo del mio cuore», scrive. Ma la soluzione, alla fine, arriva proprio a Vibo Valentia, là dove sembrava impossibile.
L’intervento a Vibo
«Grazie a Dio ho risolto a Vibo – racconta – solo grazie alla disponibilità della clinica Villa dei Gerani, dove io non sapevo ci fosse il reparto di Urologia». Una struttura che, secondo Katia, lavora lontano dai riflettori: «Non amano mettersi al centro dell’attenzione per farsi pubblicità. Oggi però mi sono sentita di farlo io perché lo meritano». È il 10 dicembre quando, racconta, «mentre le istituzioni erano in riunione alla Cittadella», lei riceve «migliaia di contatti e messaggi per aiutarmi». Tra questi, quelli del dottore Andrea Lucibello, anestesista, e del dottore Spasari, Urologo, insieme alla loro équipe. «Ho avuto un pianto liberatorio dall’emozione – confessa – perché continuo a realizzare che gli angeli travestiti da dottori esistono».
«Il mio intervento è andato benissimo - scrive ancora - e loro si prenderanno cura di questo mio problema per cercare di risolverlo piano piano nel miglior modo possibile. Lì ho trovato una famiglia». L’ultimo pensiero carico di emozione è per le sue figlie: «Cresciute troppo in fretta, e non lo meritavano».