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16/09/2025 ore 08.46
Cultura

A Tropea cala il sipario sulla nona edizione di Teatro d’aMare, il festival dedicato alla rinascita culturale

La rassegna promossa da LaboArt ha focalizzato l’attenzione sulla scena contemporanea esplorata attraverso pratiche sociali, testimonianze e performance che hanno sottolineato il ruolo delle arti come strumenti di trasformazione e inclusione

di Redazione

Con 14 appuntamenti in cartellone tra teatro, danza, musica, incontri e installazioni site-specific, e oltre 50 ospiti tra artisti, musicisti, performer e operatori culturali, si è conclusa a Tropea la nona edizione di Teatro d’aMare, il festival di LaboArt diretto da Maria Grazia Teramo e Francesco Carchidi. Tre giornate, dall’11 al 13 settembre, in cui a fare da filo conduttore è stato il tema della cura nella scena contemporanea, indagato attraverso pratiche e testimonianze concrete: dall’esperienza laboratoriale annuale condotta da LaboArt insieme a persone ai margini, confluita nello spettacolo “Nella mia stanza l’Orsa Maggiore”, alla pratica della “non-scuola” di Marco Martinelli raccontata nel libro della giornalista e insegnante Francesca Saturnino, fino alle voci dei Putéca Celidònia che in una conferenza-spettacolo hanno presentato le loro esperienze portate avanti nel Rione Sanità di Napoli e nell’Istituto Penitenziario Minorile di Nisida.

[Missing Credit]Un momento delle performance

La cura è stato anche il focus del dibattito inaugurale del festival, che ha intrecciato le testimonianze di artisti, operatori e terapeuti, mostrando come le arti performative possano farsi strumento concreto di incontro e trasformazione. A partire da lì, la riflessione si è articolata attraverso linguaggi e forme diverse: la performance itinerante “Trans. Essere Paesaggio” di Pietro Spoto e Andrea Gerlando Terrana ha invitato a guardare la città come un organismo vivo, mentre il trittico "Metamorphosis" della C&C Company ha attraversato con potenza il tema delle mutazioni e del confine tra uomo e bestia.

Cura intesa anche come possibilità di oltrepassare i limiti e trasformarli in possibilità condivise: la cena-performativa “Limine” è stata allo stesso tempo approdo e varco, aprendo il festival verso nuove possibilità di relazione tra arte, comunità e territorio; “Peccato” di Mucchia Selvaggia ha invitato il pubblico a spingersi oltre i concetti di bene e male, mentre “Afànisi” del gruppo “CTRL+ALT+CANC” ha ribaltato la relazione tra spettatore e scena e la potenza di Annalisa Limardi in “NO” ha ricordato l’importanza di far valere la propria voce. Accanto a loro, le voci dei musicisti hanno amplificato il senso di comunità: dalle sonorità urbane di DonGocò, al jazz del Claudio Francica Trio, fino alla reinterpretazione della tradizione calabrese firmata da Federica Greco e Paolo Presta.

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«È stata un’edizione che ha raccolto, ma soprattutto ha costruito un mosaico di esperienze dove la cura si è manifestata come pratica concreta: nel lavoro quotidiano al fianco delle persone fragili, nel corpo che resiste e si trasforma, nelle comunità che si incontrano, nelle voci che raccontano i margini - hanno affermato in un comunicato stampa i direttori artistici Maria Grazia Teramo e Francesco Carchidi -. La risposta del pubblico, attento e partecipe, ci ha confermato che la strada intrapresa è quella giusta. La scelta di privilegiare linguaggi universali come la danza e la musica ha permesso anche ai tanti turisti stranieri presenti a Tropea di avvicinarsi al festival, scoprendo una città che non offre solo bellezza paesaggistica, ma anche una dimensione culturale viva e dinamica».