Tentato omicidio di Domenic Signoretta a Ionadi, Antonio Campisi resta in carcere
Resta detenuto in carcere Antonio Campisi, 34 anni, di Nicotera, ritenuto responsabile in primo e secondo grado tentato omicidio ai danni di Domenic Signoretta. Un fatto di sangue avvenuto il 19 maggio del 2019, a Nao di Ionadi, quando un commando ha aperto il fuoco con armi lunghe e corte contro l’abitazione di Domenic Signoretta, in quel momento affacciato sul balcone e sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, tentando di ucciderlo. A confermare l’ordinanza del Tribunale della Libertà di Catanzaro del 20 febbraio scorso, con la quale è stata negata la scarcerazione di Antonio Campisi e la concessione dei domiciliari, è ora la Cassazione che ha dichiarato inammissibile il ricorso del 34enne di Nicotera. A ragione della decisione, il Tribunale della Libertà ha osservato come le esigenze cautelari fossero “ancora persistenti in ragione della gravità della condotta, essendo emerso come il tentato omicidio sia stato preordinato per ragioni di vendetta, in linea quindi con logiche criminali e della rispondenza dell’azione a contese fra gruppi mafiosi rivali, richiamando, inoltre, la documentazione prodotta dal pm in udienza in relazione al coinvolgimento del ricorrente in contesti associativi per narcotraffico anche a Bologna, dove aveva chiesto di poter fruire della custodia domiciliare”.
Il Tribunale della Libertà – le cui motivazioni sono state ora condivise dalla Cassazione – ha quindi delineato un quadro estremamente allarmante della persona di Antonio Campisi, “tale da meritare un giudizio prognostico assolutamente negativo, ravvisando la presenza di un concreto, specifico e attuale pericolo di reiterazione del reato, escludendo la rilevanza del decorso del tempo in regime cautelare”, a fronte di una pena inflitta in primo e secondo grado a 10 anni di reclusione. Per la Suprema Corte, “concretezza e attualità del rischio di recidiva, così come adeguatezza e proporzionalità della misura in atto, sono state ribadite in base a congrue considerazioni sulla gravità del fatto e sull’inaffidabile e allarmante personalità dell’imputato Antonio Campisi, non sufficientemente contenibile con misure gradate, ancorché di carattere custodiale e rafforzate dal braccialetto elettronico”. Avverso la condanna a 10 anni di Antonio Campisi in Corte d’Appello a Catanzaro pende ricorso in Cassazione presentato dall’avvocato Giovanni Vecchio.
Il contesto del tentato omicidio
Stando alle indagini dirette dalla Dda di Catanzaro, e svolte dal Servizio centrale operativo della Direzione centrale anticrimine della Polizia, unitamente alla Squadra Mobile di Vibo Valentia, Antonio Campisi – originariamente inserito nel clan Mancuso – si è allontanato da tale consorteria dopo l’omicidio del padre, il broker della cocaina Domenico Campisi, ucciso sulla provinciale per Nicotera nel giugno 2011, che avrebbe pagato con la vita l’aver tenuto nascosto a Pantaleone Mancuso (“l’Ingegnere”) e a Domenic Signoretta alcuni traffici di cocaina. Un omicidio allo stato impunito, nonostante da anni esistano le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Arcangelo Furfaro di Gioia Tauro, che ha indicato proprio in Domenic Signoretta (legato al boss Pantaleone Mancuso, detto l’Ingegnere) uno degli autori dell’omicidio di Domenico Campisi. Da qui il proposito di Antonio Campisi di vendicare la morte del padre attentando proprio alla vita di Domenic Signoretta, facendosi aiutare da Rocco Molè, figlio del boss ergastolano di Gioia Tauro Mommo Molè. Domenico Campisi (padre di Antonio) era legato da rapporti di comparaggio con Girolamo (Mommo) Molè, padre di Rocco. In particolare, Girolamo Molè avrebbe fatto da compare d’anello a Domenico Campisi.
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