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15/09/2025 ore 15.57
Cronaca

Sparatoria a San Gregorio d’Ippona, anche per la Cassazione si tratta di tentato omicidio e non di lesioni aggravate

Resta confermata la riqualificazione del reato decisa dal Tribunale del Riesame che non ha condiviso le conclusioni del gip. La misura cautelare rimane però quella degli arresti domiciliari

di Giuseppe Baglivo

Resta riqualificato in tentato omicidio e non più in lesioni aggravate, il reato contestato ad Antonio Pannace, 60 anni, di San Gregorio d’Ippona, ai danni di Giuseppe Meddis, quest’ultimo ferito a colpi di pistola nell’ottobre dello scorso anno. E’ quanto deciso dalla prima sezione penale della Cassazione che ha respinto il ricorso di Pannace finalizzato a contestare la riqualificazione del reato ottenuta dalla Procura di Vibo dinanzi al Tribunale del Riesame dopo che il gip in prima istanza aveva emesso un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari per il reato di lesioni aggravate. In ordine alla misura cautelare, in ogni caso, anche con la riqualificazione del reato in tentato omicidio resta quella decisa dal gip prima e dal Riesame poi (che ha respinto sul punto la richiesta del carcere invocata dalla Procura) ovvero quella degli arresti domiciliari così come chiesto dalla difesa (l’avvocato Diego Brancia). La Procura aveva proposto appello lamentando la riqualificazione del fatto anche in seguito alle complicanze insorte che hanno portato all’amputazione dell’arto.

Giuseppe Meddis era stato soccorso mentre si trovava riverso in strada in una pozza di sangue e aveva poi “affermato di essere stato attinto da colpi di arma da fuoco esplosi da Antonio Pannace a cagione di un sinistro stradale avvenuto tra il nipote del Meddis e un parente del Pannace. Nel corso della discussione Pannace aveva rivolto a Meddis la frase: «ma tu vuoi morire presto», dopodichè – si legge nella decisione della Cassazione – mentre la persona offesa era di spalle esplodeva un colpo che attingeva la vittima alla gamba e poi, una volta che l’antagonista era a terra, si avvicinava e, puntandogli l’arma ad altezza viso, diceva «non ti uccido solo perché mi dispiace per i tuoi figli». Il Tribunale del Riesame, andando di contrario avviso rispetto al giudice per le indagini preliminari, nella condotta posta in essere evidenziava la univocità e idoneità degli atti a cagionare il decesso”.
La Suprema Corte ricorda infatti che il provvedimento impugnato afferma che dalla “visione delle telecamere emerge che l’assalitore aveva esploso almeno due colpi ad altezza uomo, mentre la vittima stava scappando; pertanto, la reiterazione dei colpi, la sede attinta, il fatto che il bersaglio fosse in movimento e l’inesperienza dello sparatore disegnano un animus necandi, declinandosi il dolo nella foma del dolo diretto alternativo”.

Per la Cassazione, i giudici del Riesame – riformando la decisione del gip del Tribunale di Vibo  Roberta Ricotta – hanno “espresso un giudizio di merito incensurabile, siccome congruamente motivato poiché è emersa: l’idoneità degli atti a cagionare la morte della vittima, posto il numero e la reiterazione dei colpi; la direzione degli stessi, sparati ad altezza uomo verso un bersaglio in movimento da soggetto inesperto; la distanza ravvicinata fra vittima e sparatore; l’arma utilizzata, una pistola Beretta calibro 9; la zona attinta che è la parte superiore della coscia, zona nevralgica poiché vi passano le arterie e, la frase pronunciata dall’indagato «ma tu vuoi morire presto?» piuttosto chiara circa le sue intenzioni”.