Sistema bibliotecario vibonese, peccato originale di una città senza visione: tra le ipotesi la vendita (vietata) dei 90mila libri - VIDEO
La catena arrugginita al cancello di Palazzo Santa Chiara, a Vibo Valentia, è rimasta dov’era, simbolo di un silenzio che dura ormai da dodici mesi. Era il 2 settembre dello scorso anno quando il Sistema bibliotecario vibonese – la più grande biblioteca pubblica della Calabria – chiudeva i battenti travolto da debiti per circa 700mila euro e da un’inchiesta giudiziaria poi crollata in tribunale. Da allora nessuna svolta: la politica ha discusso, promesso, ma il portone è rimasto serrato e i 90mila volumi custoditi rischiano oggi incuria e dispersione.
A raccontare questa lunga attesa sono Katia Rosi e Beatrice Mirabello, le due volontarie che fino all’ultimo hanno resistito lavorando gratuitamente. Cos’è cambiato quindi da quel 2 settembre dello scorso anno? «Nulla, praticamente nulla è cambiato – dice Mirabello – non si parla di riapertura. Siamo sole a predicare la necessità di ridare vita a questo luogo, così come un anno fa eravamo sole a doverlo chiudere».
Un «futuro nero» quello temuto dalle giovani volontarie: «Non c’è il più pallido indizio di ripartenza, ci hanno detto testualmente che “non c’è margine”. E fa male che a lasciarci indietro, relegati proprio al margine, sia la nostra stessa città». Disillusione anche nelle parole di Katia Rosi: «L’anno scorso eravamo stanche, ma fiduciose che una soluzione si sarebbe trovata. Oggi invece vediamo arrendevolezza da parte delle istituzioni, e questo ci spaventa. Perché si vocifera che il sistema non solo non riaprirà ma che la direzione possa essere quella di uno smembramento del patrimonio, suddiviso tra i diversi comuni che fanno parte del Sistema bibliotecario».
Un rischio concreto, spiegano entrambe. «Ma questo non sarebbe un danno se non fossimo certi che nella maggior parte di questi comuni non esiste una biblioteca, o dove esiste non è funzionante. Parliamo di libri moderni e antichi, persino cinquecentine – sottolinea Rosi –. Quei volumi finirebbero dimenticati in scatoloni. Sarebbe un danno enorme». A rendere tutto più grave è un’altra ipotesi circolata in queste ore: la possibilità di mettere in vendita parte del patrimonio. «Un’idea assurda oltre che illegale – incalza Rosi – perché quel patrimonio non è privato, ma pubblico. Appartiene allo Stato, alla Regione e a tutta la comunità. Non può essere toccato in alcun modo».
Eppure, una via sembrava esserci. Nei mesi scorsi era stata avanzata la proposta di affidare la gestione al Sistema bibliotecario lametino. «Con Lamezia i rapporti sono sempre stati ottimi – ricorda Mirabello –. Eravamo contente di quella prospettiva, ma poi tutto ha cominciato a tacere. Noi crediamo che ci siano stati dei veri e propri bastoni fra le ruote. Eppure era una strada percorribile». Sulla stessa linea Katia Rosi: «Avevamo avuto un incontro, ci era stato detto che anche al Sistema vibonese sarebbe arrivata una parte dei fondi regionali, gestita dai colleghi lametini. Sembrava un’occasione concreta. Poi si è rivelata solo un fuoco di paglia e non sappiamo il perché».
E mentre le istituzioni restano ferme, la comunità continua a mostrare vicinanza. «Le persone ci chiedevano se potevano fare qualcosa. E noi abbiamo detto sempre no, no, no: deve essere lo Stato, deve essere la Regione, deve essere Vibo. Non dovete essere voi a pagarci le bollette o a sostenerci economicamente» sottolineano le due volontarie. «Noi siamo solo delle rappresentanti, ci mettiamo la faccia, ma questa battaglia la portiamo avanti per la città. Le persone che frequentavano la biblioteca ci chiedono ancora oggi quale sarà il destino del sistema. Non vogliono rassegnarsi all’oblio».
A rendere ancora più dolorosa la chiusura è il ricordo di ciò che la biblioteca è stata per anni: «Io dal 2015 ho visto un luogo pieno di vita – dice Rosi –. Bambini, studenti, pensionati che venivano anche solo a leggere il giornale, ricercatori da tutta la Calabria per consultare i testi preziosi. Non era un deposito di libri, era un baluardo di democrazia e libertà. E questa mancanza oggi pesa a tutta la città».
Da qui l’appello. «Chiediamo alla comunità di far sentire la sua voce – affermano – perché non è giusto che tutto ricada su due volontarie. Chiediamo alla Regione e ai sindaci di spiegare perché i fondi non vengono utilizzati, e di assumersi la responsabilità di agire». Infine, una proposta concreta: «Che l’assemblea dei sindaci si riunisca in una seduta aperta, che si ascoltino anche esperti capaci di cercare una via. Non è giusto che una città come Vibo perda un patrimonio così. Prima che venga scritta la parola fine, bisogna almeno avere il coraggio di cercare una soluzione».