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04/12/2025 ore 14.42
Cronaca

Operazione Black money contro il clan Mancuso, una condanna in Cassazione e due annullamenti con rinvio

Regge il reato di associazione mafiosa per un solo imputato che dovrà però affrontare un nuovo giudizio di secondo grado per una contestazione di estorsione. Da rifare il processo anche per Antonio Pantano. Inammissibile il ricorso di Antonio Cuturello. Il blitz antimafia risale al marzo 2013

di Giuseppe Baglivo
Jorge Franganillo

Sentenza della Cassazione per il troncone in abbreviato del procedimento penale nato dall’operazione antimafia della Dda di Catanzaro denominata Black money contro il clan Mancuso scattata nel marzo del 2013. La decisione arriva dopo un precedente annullamento con rinvio ad opera della Suprema Corte della precedente sentenza di secondo grado. Va definitiva la condanna a 2 anni nei confronti di Antonio Cuturello (cl ’90), di Nicotera. Il suo ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla quinta sezione penale della Cassazione e il ricorrente è stato condannato anche al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. La sentenza di secondo grado, che ha ora retto al vaglio della Cassazione, era stata emessa il 17 dicembre 2024, mentre in un precedente giudizio d’appello, poi annullato con rinvio dalla Suprema Corte, Antonio Cuturello era stato condannato a 5 anni e 6 mesi. Nei suoi confronti ha retto quindi in via definitiva la responsabilità penale per reati legati alla detenzione illegale di armi, mentre è stato assolto dal reato di associazione mafiosa già nel giudizio d’appello. Antonio Cuturello era difeso dall’avvocato Giuseppe Cosentino.

Nuovo annullamento con rinvio, invece, per Antonio Pantano (cl ‘57), nativo di San Calogero ma residente a Santa Maria di Ricadi, e per Giovanni D’Aloi (cl ’66), di Nicotera, ma residente a San Calogero. Per i due imputati l’annullamento con rinvio deciso dalla Cassazione – limitatamente alla qualificazione giuridica del fatto contestato – si riferisce ad un capo d’imputazione per il reato di estorsione aggravata dalle modalità mafiose in quanto con più atti esecutivi del medesimo disegno criminoso, mediante minaccia esplicita di gravi ritorsioni, D’Aloi e Pantano avrebbero costretto Placido Zanai a pagare somme di denaro “consistenti – secondo l’accusa – in ratei di interesse applicato su un mutuo concesso da Giovanni D’Aloi e Antonio Pantano”. Il reato porta quale luogo di commissione il paese di Spilinga e risale al gennaio 2012. Per tale capo d’imputazione, dunque, la Cassazione ha disposto l’annullamento con rinvio per un nuovo processo di secondo grado, in accoglimento di un ricorso presentato dall’avvocato Francesco Muzzopappa. In appello il reato era stato riqualificato nella forma di tentata estorsione.
La Cassazione nel censurare l’operato dei giudici d’appello sottolinea in sentenza che la Corte d’Appello ha “ripreso le conversazioni intercettate dando alle stesse un significato diverso da quello reale”. Le frasi intercettate, ad avviso della Suprema Corte, non sono idonee ad integrare il concetto di violenza richiesto dalla norma incriminatrice “poiché mai rivolte direttamente nei confronti della presunta persona offesa”. Antonio Pantano si è visto così annullare con rinvio la condanna a 2 anni e 10 mesi rimediata nel precedente giudizio d’appello (dal quale è stato assolto dall’accusa di associazione mafiosa), mentre Giovanni D’Aloi era stato condannato alla pena complessiva di 8 anni e 6 mesi di reclusione. Nei suoi confronti ha retto in via definitiva l’accusa di associazione mafiosa (clan Mancuso) e l’annullamento con rinvio riguarda quindi solo il capo d’imputazione che lo vede rispondere in concorso con Antonio Pantano. D’Aloi è difeso dagli avvocati Giangregorio De Pascalis e Francesco Muscia.

Da ricordare che nel giudizio d’appello era imputato anche Orazio Cicerone (cl ’73), di Limbadi (non ricorrente in Cassazione) il quale è stato condannato lo scorso anno alla pena di 4 anni per il reato di associazione mafiosa.
Infine, la Corte d’Appello di Catanzaro il 17 dicembre 2024 aveva dichiarato il non doversi procedere - in quanto la contestazione (associazione a delinquere semplice) era stata dichiarata estinta per intervenuta prescrizione - nei confronti degli imputati: Ercole Palasciano (cl ’61), commercialista di Catanzaro (condannato in un precedente giudizio d’appello, poi annullato con rinvio, a un anno e 4 mesi); Francesco L’Abbate (cl ’76), avvocato di Reggio Calabria, che era stato condannato nel precedente giudizio d’appello (poi annullato con rinvio) a 6 mesi; Domenico Musarella (cl ’75) di Campo Calabro, che era stato condannato a 6 mesi nel precedente secondo grado di giudizio poi annullato dalla Cassazione.

Alcune parti civili erano rappresentate dall’avvocato Lia Staropoli, vale a dire i testimoni di giustizia di Briatico Maria Concetta Grasso, Domenico Grasso e i coniugi Giuseppe Grasso e Francesca Franzè, mentre l’avvocato Claudia Conidi ha assistito Domenico Polito di Rombiolo.
L’operazione “Black money” era scattata nel marzo del 2013 con il coordinamento della Dda di Catanzaro. Nel troncone ordinario celebrato a Vibo Valentia non aveva retto l’accusa di associazione mafiosa a carico dei vertici del clan Mancuso, mentre altre assoluzioni definitive (in quanto non appellate in Cassazione) si erano registrate anche in Appello nel troncone dell’abbreviato.
In particolare, il 22 giugno 2021 la Cassazione ha reso definitive le seguenti condanne: 5 anni Antonio Mancuso di Limbadi per il solo reato di estorsione (a fronte di una richiesta di pena in primo grado avanzata dal pm Marisa Manzini pari a 27 anni di reclusione); 9 anni Giovanni Mancuso di Limbadi per il reato di usura (l’accusa in primo grado aveva chiesto per lui 29 anni di reclusione, così come in appello); 7 anni e 8 mesi per Agostino Papaianni di Coccorino (l’accusa in appello aveva chiesto per lui 23 anni e 8 mesi); 7 anni Gaetano Muscia di Tropea (così come in primo grado), 5 anni e 6 mesi Antonio Prestia di San Calogero (così come in primo grado).
In Black money è stato invece assolto in via definitiva il boss Pantaleone Mancuso, alias Scarpuni (laddove il pm in primo grado aveva chiesto 26 anni e 6 mesi di reclusione e 18 anni in appello). Sia la Corte d’Appello (con sentenza del 12 novembre del 2019), sia in precedenza la sentenza di primo grado del Tribunale collegiale di Vibo Valentia, avevano ribadito nelle motivazioni dei rispettivi verdetti il “totale vuoto probatorio dell’accusa in ordine al reato di associazione mafiosa”.