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01/12/2025 ore 17.39
Cronaca

Latitanza di Salvatore Tripodi, nessun risarcimento per ingiusta detenzione a Francesco Moscato

La Cassazione riconosce la presenza della “colpa grave” nella condotta del fratello del collaboratore detenuto per tre mesi nel 2015 con l’accusa di aver favorito il ricercato poi arrestato a Zambrone

di Giuseppe Baglivo

Nessun risarcimento per ingiusta detenzione nei confronti di Francesco Moscato, 32 anni, di Vibo Marina, fratello dell’attuale collaboratore di giustizia Raffaele Moscato, quest’ultimo elemento apicale e killer del clan dei Piscopisani. E’ quanto deciso dalla quarta sezione penale della Cassazione che ha ritenuto infondato il ricorso proposto da Francesco Moscato avverso la decisione della Corte d’Appello di Catanzaro dell’ottobre 2024. In giudizio, quale parte resistente, si era costituito il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Francesco Moscato aveva chiesto il risarcimento in relazione al periodo di detenzione agli arresti domiciliari - con braccialetto elettronico applicato dal 30 luglio 2015 all’ottobre 2015 - disposti a seguito dell’arresto in flagranza di reato per i delitti di favoreggiamento personale di latitante aggravato dalle finalità mafiose. Da tale contestazione, Francesco Moscato è stato assolto dal Tribunale di Vibo con la formula "perché il fatto non sussiste", confermata dalla Corte d'Appello di Catanzaro con sentenza divenuta definitiva il 4 giugno 2020. A Francesco Moscato era stato contestato di aver agevolato la latitanza di Salvatore Tripodi, dell’omonimo clan di Portosalvo, il cui arresto era avvenuto dopo diversi giorni di appostamento in prossimità di un appartamento sospetto, presso il quale Moscato si era recato, portando tre caffè caldi.

La decisione della Corte d’Appello

Nel negare il risarcimento per ingiusta detenzione, la Corte d’Appello ha ritenuto sussistente la condizione ostativa rappresentata dal concorso della condotta dolosa o colposa di Francesco Moscato nella determinazione sottesa al provvedimento genetico privativo della libertà personale. Moscato ha infatti “frequentato il latitante Salvatore Tripodi, recandosi ripetutamente presso l'appartamento ove questi si trovava nascosto. Tali circostanze, così come la consapevolezza del Moscato dello status di latitante del Tripodi, non erano state escluse dalla sentenza assolutoria in cui si dava atto – sottolinea la Cassazione – delle frequentazioni assidue del Moscato con appartenenti alla famiglia del latitante e sono state logicamente ritenute gravemente imprudenti in quanto idonee ad ingenerare il convincimento del coinvolgimento del ricorrente nella latitanza del Tripodi”.

Le ragioni della Cassazione

La Suprema Corte nel negare l’ingiusta detenzione patita da Moscato ricorda che i giudici di merito nell’assolvere Francesco Moscato hanno ritenuto “la sua condotta non idonea dal punto di vista oggettivo ad integrare il reato di favoreggiamento personale. Tuttavia era stato evidenziato – sottolinea la Cassazione – che le circostanze fattuali conducevano indubbiamente a ritenere che Moscato si stesse dirigendo verso l'abitazione ove si nascondeva il Tripodi per portargli il caffè, anche perché in quella zona le case erano disabitate, evitando in tal modo l'uscita del latitante da casa. E’ stato anche valorizzato il dato della consapevolezza del Moscato dello status di latitante del Tripodi, con la condotta di diretta frequentazione del latitante che costituisce quindi circostanza da porre in diretto rapporto causale con il provvedimento limitativo della libertà personale di Moscato”. Da qui il rigetto del ricorso e la condanna di Francesco Moscato al pagamento delle spese processuali.

Salvatore Tripodi era stato arrestato dai carabinieri della Stazione di Zungri il 30 luglio 2015 con un blitz in contrada Madama di Zambrone. Si era reso latitante poichè ricercato dal marzo 2015 quale mandante (insieme ai piscopisani Battaglia e Fiorillo) dell’omicidio del boss di Stefanaconi Fortunato Patania. Tripodi è stato poi assolto da tale accusa. Il 21 novembre scorso è stato invece condannato a 12 anni per associazione mafiosa al termine del processo di primo grado nato dall’operazione denominata “Portosalvo”.