Il tesoro ritrovato, tornano a Vibo 12 reperti archeologici: c’è anche un cratere apulo del IV secolo a.C.
Sequestrati a Venezia dai carabinieri, i manufatti di provenienza clandestina saranno accolti dal Museo archeologico nazionale Vito Capialbi, che si prepara a una nuova sezione dedicata alla tutela del patrimonio
Un cratere apulo del IV secolo avanti Cristo, autentico capolavoro della ceramica magnogreca, e altri undici reperti archeologici sottratti al traffico illecito tornano finalmente allo Stato. I beni, sequestrati a Venezia dal Nucleo Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, sono stati ufficialmente riconsegnati e destinati al Museo archeologico nazionale “Vito Capialbi” di Vibo Valentia, dove andranno ad arricchire un percorso museale dedicato alla tutela e al recupero del patrimonio archeologico.
La consegna è stata al centro di una conferenza stampa svoltasi a Palazzo Ducale, alla quale ha partecipato in collegamento il direttore dei Musei Nazionali calabresi, Fabrizio Sudano. Nel suo intervento, Sudano ha sottolineato come Vibo Valentia abbia «un legame particolare con i sequestri e con i materiali provenienti da questo tipo di operazioni», richiamando il ruolo strategico del museo calabrese nella valorizzazione dei reperti recuperati grazie all’azione di contrasto ai traffici illegali.
Il cratere apulo, destinato a diventare il pezzo di punta della nuova sezione museale, è stato definito «un vero e proprio capolavoro» dal direttore del museo vibonese, Michele Mazza. Le analisi condotte in fase di restauro hanno infatti rivelato un dato di grande interesse storico: il vaso era già stato restaurato in epoca antica, nel IV secolo a.C. «Questo dimostra - ha spiegato Mazza - che si trattava di un oggetto di altissimo valore, probabilmente destinato a una figura di rilievo o riconosciuto già allora come un’opera straordinaria, tanto da essere preservata e riparata».
Il recupero dei dodici reperti rientra in una delle quattro operazioni condotte nel corso del 2025 dal Nucleo Tutela Patrimonio Culturale. A ricostruire l’indagine è stato il comandante del Tpc di Venezia, Emanuele Meleleo, che ha spiegato come la scoperta sia avvenuta nell’agosto del 2024 durante un’attività ispettiva legata al monitoraggio dei palazzi storici veneziani interessati da lavori di restauro. Gli accertamenti, trasmessi all’autorità giudiziaria, hanno fatto emergere che i reperti non erano detenuti legittimamente, ma provenivano da scavi clandestini e da successive cessioni illecite.
Nel dicembre 2024 sono scattate le perquisizioni a Venezia e Torino che hanno consentito il recupero dei beni. A marzo 2025, l’autorità giudiziaria ha disposto il dissequestro a favore dello Stato e, con successive determinazioni del Ministero della Cultura, è stato definito il percorso di valorizzazione che porterà i reperti al Museo archeologico di Vibo Valentia.
L’attività investigativa si è avvalsa del contributo tecnico della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Venezia, del supporto operativo e logistico della Soprintendenza di Torino e dei Musei Reali del capoluogo piemontese, oltre all’assistenza dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia. Un lavoro corale che ha permesso non solo di sottrarre importanti testimonianze del passato al mercato illegale, ma anche di restituirle alla collettività, inserendole in un contesto museale capace di raccontarne la storia e il valore culturale.