Da Nicotera a Gerocarne armato e su un’auto blindata: per Antonio Campisi regge la detenzione di una pistola ma non l’ipotesi di un agguato
La Cassazione conferma la condanna per il figlio del defunto broker della cocaina staccatosi dal clan Mancuso. Il correo Giuseppe Muzzupappa ucciso nel novembre 2022 dal futuro collaboratore Pasquale Megna
Condanna a due anni per il solo reato di detenzione illegale di armi con esclusione dell’aggravante delle finalità mafiose. Questa la decisione della prima sezione penale della Cassazione che ha respinto il ricorso di Antonio Campisi, 34 anni, di Nicotera Marina, figlio del defunto broker della cocaina Domenico Campisi, quest’ultimo ucciso in un agguato nel 2011.
In primo grado (sentenza poi confermata in appello) Antonio Campisi era stato assolto dal reato di porto di arma clandestina (una pistola con matricola abrasa calibro 7,65, con relativo munizionamento e colpo in canna) e dall’accusa di tentato omicidio ai danni di Giovanni Nesci e altri soggetti vicini al clan Loielo di Ariola di Gerocarne (nella specie di Alex e Walter Loielo). Nella prospettazione accusatoria, Antonio Campisi e Giuseppe Muzzupappa si sarebbero portati nelle Preserre vibonesi – a Gerocarne per la precisione – al fine di eliminare i Loielo e agevolare così il clan Emanuele.
La Cassazione e la posizione di Campisi
Ad avviso della difesa di Antonio Campisi (avvocato Giovanni Vecchio), la motivazione della sentenza Corte d’Appello di Catanzaro del 16 dicembre 2024 (a sua volta confermativa della decisione del gup distrettuale, Paola Ciriaco, al termine di un processo celebrato con rito abbreviato) sarebbe da considerarsi “contraddittoria in quanto le intercettazioni servirebbero a provare la genesi della detenzione dell’arma ovvero vendicare la morte del padre del ricorrente Campisi e, quindi, a provare un profilo che incide sul concorso nel reato, dimostrando la finalità della detenzione dell’arma”.
La difesa di Campisi aveva poi rilevato che le sentenze di merito hanno dato conto che il correo Giuseppe Muzzupappa (cugino di Campisi) - deceduto dopo la sentenza del Gup in quanto ucciso a Nicotera il 26 novembre 2022 da Pasquale Megna (quest’ultimo poi divenuto collaboratore di giustizia) - ha “riconosciuto di essere il detentore dell’arma e, avvedutosi dell’arrivo della polizia, si è disfatto della pistola lanciandola dal balcone; per tale ragione al giudice di appello era stato chiesto di spiegare per quali motivi la presenza del Campisi nell’abitazione di Muzzupappa a Gerocarne potesse aver contribuito a rafforzare il proposito criminoso del correo, poi deceduto”. Secondo il ricorrente Campisi si tratterebbe di “erronea motivazione del concorso di persone atteso che, essendo contestata la detenzione dell’arma, la prova del concorso morale del ricorrente dovrebbe essere riferita al momento dell’acquisizione dell’arma da parte del correo Muzzupappa e non a condotte successive al momento in cui questo ne è entrato in possesso”.
Per la Cassazione, la sentenza d’appello - che si salda con quella di primo grado trattandosi di doppia conforme - conferma la responsabilità di Antonio Campisi a seguito di una “puntuale valutazione del complesso quadro indiziario che viene ritenuto grave”. I giudici di merito, infatti, con una “motivazione esente da criticità sul piano della coerenza logica”, hanno spiegato che la pistola era detenuta anche da Antonio Campisi “valorizzando una pluralità di elementi quali il rinvenimento presso la stanza in uso al ricorrente Campisi a Gerocarne unitamente ad un giubbotto antiproiettili, un passamontagna, un documento intestato ad altra persona recante la foto del Campisi, denaro falso per 30mila euro, nonché un’auto blindata intestata alla nonna del ricorrente”.
Anche il lancio dal balcone della pistola recante il colpo in canna da parte di Giuseppe Muzzupappa con accanto il cugino Campisi è “avvenuto poco prima dell’intervento della polizia che aveva avuto modo di osservare la presenza di entrambi sul balcone intenti a disfarsi dell’arma”. I giudici d’appello hanno quindi ritenuto “correttamente integrata l’ipotesi del concorso di persone nel delitto di illecita detenzione dell’arma, evidenziando gli elementi indicativi della consapevolezza della presenza della pistola nell’abitazione in uso con il concorrente Muzzupappa e della riconducibilità della stessa anche al ricorrente Campisi”.
I profili di Campisi e Muzzupappa
Giuseppe Muzzupappa (successivamente ucciso a Nicotera da Pasquale Megna per contrasti insanabili all’interno del clan Mancuso) era stato condannato per la detenzione illegale della pistola ad un anno e sei mesi. Muzzupappa, oltre ad essere cugino di Antonio Campisi, era anche legato da rapporti di parentela con i più noti Cuturello, a loro volta legati da rapporti di sangue alla famiglia Mancuso.
Antonio Campisi si trova invece attualmente in carcere in quanto ritenuto responsabile in primo e secondo grado del tentato omicidio ai danni di Domenic Signoretta e condannato per questo a 10 anni di reclusione. Un fatto di sangue avvenuto il 19 maggio del 2019, a Nao di Ionadi, quando un commando ha aperto il fuoco con armi lunghe e corte contro l’abitazione di Domenic Signoretta, in quel momento affacciato sul balcone e sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, tentando di ucciderlo.
Stando alle indagini dirette dalla Dda di Catanzaro, e svolte dal Servizio centrale operativo della Direzione centrale anticrimine della Polizia, unitamente alla Squadra Mobile di Vibo Valentia, Antonio Campisi – originariamente inserito nel clan Mancuso – si sarebbe allontanato da tale consorteria dopo l’omicidio del padre, il broker della cocaina Domenico Campisi, ucciso sulla provinciale per Nicotera nel giugno 2011, che avrebbe pagato con la vita l’aver tenuto nascosto a Pantaleone Mancuso (“l’Ingegnere”) e a Domenic Signoretta alcuni traffici di cocaina. Un omicidio allo stato impunito, nonostante da anni esistano le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Arcangelo Furfaro di Gioia Tauro, che ha indicato proprio in Domenic Signoretta (legato al boss Pantaleone Mancuso, detto l’Ingegnere) uno degli autori dell’omicidio di Domenico Campisi.
Da qui il proposito di Antonio Campisi di vendicare la morte del padre attentando proprio alla vita di Domenic Signoretta, facendosi aiutare da Rocco Molè, figlio del boss ergastolano di Gioia Tauro Mommo Molè. Domenico Campisi (padre di Antonio) era legato da rapporti di comparaggio con Girolamo (Mommo) Molè, padre di Rocco. In particolare, Girolamo Molè avrebbe fatto da compare d’anello a Domenico Campisi. Antonio Campisi si trova infine imputato pure nel maxiprocesso nato dall’operazione Adelfi con l’accusa di narcotraffico internazionale.