Vibo ritrova i suoi giovani e sembra un’altra città: passeggiando sul corso con chi vorrebbe tornare e chi non ci pensa proprio
In queste assolate giornate di dicembre tra Natale e Capodanno il centro storico riprende vita grazie alla presenza numerosa di chi il resto dell’anno lavora e studia fuori. Ecco cosa ci hanno detto
Il sole di dicembre accarezza il corso Vittorio Emanuele III e invita a uscire, a passeggiare senza fretta, a prendersi una pausa. Il Natale è appena passato, San Silvestro è ancora lontano due giorni: una sospensione del tempo che rende l’aria più leggera. In questo periodo Vibo Valentia si riempie come accade di rado durante l’inverno. Le luci natalizie illuminano la strada principale, fanno da cornice ai passi lenti, alle chiacchiere, agli incontri casuali. Ma tra un addobbo e l’altro emergono anche le ferite: saracinesche abbassate, vetrine spente, negozi che un tempo erano punti di riferimento per l’intera collettività e oggi non ci sono più.
Eppure il corso oggi “sorride” ed è popolato di volti nuovi. O forse no: sono volti che ritornano. Sono i giovani che ogni anno rientrano a casa per le feste, studenti e lavoratori che vivono altrove e che, per qualche giorno, restituiscono alla città l’illusione di una Vibo sempre così: viva, piena, luminosa come questa mattina di dicembre.
Due studenti di sedici anni camminano insieme. Hanno le idee chiare e poche illusioni. L’università sarà a Cosenza, poi, probabilmente, andranno all’estero. Almeno questo è quello che sognano. «Perché dovrei restare? Datemi una motivazione valida per restare», dice uno di loro. Resterebbe al Sud, dice, solo per la famiglia, per il contesto «umano», per il calore delle persone. Non per il suo futuro lavorativo, per quello non vede motivi per rimanere.
C’è anche chi torna con un passeggino, come una giovane neo mamma che vive a Roma da dieci anni. La nostalgia è forte, soprattutto per la famiglia. «E quando torni – ammette – te ne accorgi ancora di più». Poi un pensiero che suona come un incoraggiamento sincero: «Complimenti a chi resta, a chi ha il coraggio di sporcarsi le mani per questa terra».
Il corso si anima soprattutto nei giorni che precedono il nuovo anno. Molti sono andati via per studiare e non sono più tornati. Come una donna che vive e lavora a Roma dal 2018: «Qui non c’era lavoro, sono partita a malincuore, ma dovevo farlo». Torna sempre, però: Natale, Pasqua, estate. «Resto calabrese nel cuore». Le manca la dimensione piccola, il riconoscersi per strada, il salutarsi, il parlare con tutti. Ma Roma le ha offerto ciò che Vibo non è riuscita a garantire: servizi, opportunità, stabilità.
Accanto a lei c’è il fratello, medico ortopedico. Vive a Barcellona, con un contratto a tempo indeterminato. «La classica fuga dei cervelli», dice. A Vibo non c’era spazio per il suo percorso universitario e professionale. Gli manca il calore delle persone, non la mentalità. «Quella chiusa, quella no». Tornerebbe a vivere a Vibo? «Probabilmente no», risponde senza esitazioni, e senza rimpianti.
Ma c’è anche chi sogna un ritorno vero, come un giovane di San Costantino Calabro che lavora a Modena nel settore edile. È partito un anno fa, per necessità. «Sarei rimasto, se avessi potuto». Il futuro lo immagina qui, a patto di trovare un lavoro dignitoso. «A Modena è un’altra storia».
Gianluca, invece, non è vibonese, viene da Napoli. È giornalista e trascorre le festività in città, a casa dei suoceri. Il suo sguardo è quello di chi osserva da fuori, ma conosce il territorio da tempo. «Vibo Valentia, secondo me, è l’eterna incompiuta», dice senza durezza, con la lucidità di chi non cerca colpe ma constata i fatti. «Ha potenzialità incredibili: il paesaggio, la cultura, le bellezze artistiche. Eppure c’è sempre qualcosa che resta a metà». Quando parla della Costa degli Dei, di Pizzo, di Tropea, del castello Normanno Svevo, la voce si fa più calda: «Sono bellezze impareggiabili». Poi torna il nodo centrale, pesante come un macigno: «Non è attrattiva per i giovani. Se non offri opportunità, le eccellenze vanno via».
E poi c’è Teresa, che vive a Padova da venticinque anni. Informatica, partita quando a Vibo non c’era spazio per le sue competenze. «Mi manca tutto: la famiglia, la terra, gli amici», racconta. Guardando la città oggi, la percepisce cambiata, più vuota. «Chiudono le attività, ci sono sempre meno giovani. Il problema è il lavoro». Servirebbero iniziative, soprattutto per i ragazzi, dice, per restituire speranza.
In questi giorni di festa il corso Vittorio Emanuele III diventa così un luogo simbolico: spazio di incontri e di memorie, di ritorni brevi e partenze definitive. Una vetrina luminosa che riflette sogni, nostalgie e contraddizioni di una città che, almeno per qualche giorno, torna a sentirsi viva.